SOCIETà CANCELLATA DAL REGISTRO DELLE IMPRESE – I PRESUPPOSTI PER LA TUTELA DEI CREDITORI SOCIALI VERSO IL LIQUIDATORE

SOCIETà CANCELLATA DAL REGISTRO DELLE IMPRESE – I PRESUPPOSTI PER LA TUTELA DEI CREDITORI SOCIALI VERSO IL LIQUIDATORE

Il liquidatore di una società, cancellata dal Registro delle imprese, non risponde nei confronti del creditore insoddisfatto quando il mancato pagamento del debito sociale non dipende dal mancato inserimento di quest’ultimo nel bilancio finale, quanto piuttosto dalla mancanza di qualsiasi risorsa economica necessaria per potere procedere al pagamento.
In altre parole, il creditore sociale rimasto insoddisfatto che intenda agire nei confronti del liquidatore ha l’onere di provare l’esistenza nel bilancio finale di liquidazione di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito, e che, invece, sia stata distribuita ai soci, oppure la sussistenza di una condotta dolosa o colposa del liquidatore cui sia imputabile la mancanza di attivo.
Lo ha stabilito il Tribunale di Roma con la sentenza del 30 gennaio 2019, n. 2258/2019.
Il Giudice del Tribunale parte dalla premessa che l’art. 2495 c.c. (nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dalla riforma del diritto delle società) prevede che, approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal Registro delle imprese (primo comma) e che, ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi (secondo comma).
Ciò posto, la giurisprudenza formatasi in epoca antecedente alla riforma del diritto societario aveva espresso, in maniera costante, il principio per cui la cancellazione dal Registro delle imprese determinava solamente una presunzione di estinzione della società, come tale suscettibile di prova contraria, sicché i creditori sociali rimasti insoddisfatti, nonostante l’avvenuta cancellazione potevano ancora agire nei confronti della società in persona dei liquidatori, fino ad arrivare a richiederne la dichiarazione di fallimento. In altre parole, alla cancellazione della società dal Registro delle imprese non conseguiva, immediatamente, anche la sua estinzione, che era determinata, invece, soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti che alla stessa facevano capo ed dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare ed avere.
Il legislatore della riforma, al contrario, ha preso posizione nettamente contraria rispetto alla esposta interpretazione correttiva, chiarendo che l’iscrizione nel Registro delle imprese della cancellazione della società comporta la definitiva estinzione società a prescindere dalla sopravvivenza o anche della sopravvenienza di attività o di passività: conseguentemente, la nuova norma di cui all’art. 2495 secondo comma c.c. ha inteso attribuire efficacia costitutiva alla cancellazione dal registro delle imprese.
In particolare, poi, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ulteriormente chiarito che qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal Registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:

l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (cfr., Cassazione civile sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070).

Consegue che i creditori eventualmente rimasti insoddisfatti potranno agire non già nei confronti della società, ma soltanto nei confronti dei soci e dei liquidatori, nei confronti dei primi fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e, nei confronti dei secondi, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi (art. 2495 secondo comma c.c.).
Nel caso specifico, per quanto attiene ai liquidatori, la responsabilità si fonda sulla prova di due presupposti, uno di natura oggettivo relativo al mancato pagamento dei debiti sociali e l’altro di natura soggettiva consistente nella riconducibilità del mancato pagamento al comportamento doloso o colposo dei liquidatori.
Ovviamente – conclude il Tribunale – la responsabilità del liquidatore deve essere esclusa quando il mancato pagamento del debito sociale non dipenda dal mancato inserimento di quest’ultimo nel bilancio finale, quanto piuttosto dalla mancanza di qualsiasi risorsa economica necessaria per poter procedere al pagamento.
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Fonte: https://www.tuttocamere.it