La legge n. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019) ha previsto, all’art. 1, comma 919, che “a decorrere dal 1° gennaio 2019, le tariffe e i diritti di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, possono essere aumentati dagli enti locali fino al 50 per cento per le superfici superiori al metro quadrato e le frazioni di esso si arrotondano a mezzo metro quadrato”.
L’imposta comunale sulla pubblicità (ICP) e i Diritti sulle pubbliche affissioni (DPA). diventano così oggetto di un nuovo “ampliamento” legislativo ad opera della legge di Bilancio 2019.
1) La novità si inserisce in un contesto già oggetto di profondi interventi legislativi e giurisprudenziali. L’imposta comunale sulla pubblicità (ICP) disciplinata unitamente alle Pubbliche Affissioni dal D.Lgs. n. 507 del 15 novembre 1993, è stata, infatti, oggetto di notevole contenzioso, dinanzi a tutte le giurisdizioni, sia tributarie che amministrative, specie a causa dei molteplici interventi legislativi di modifica del quadro normativo di base. E’ opportuno pertanto fare un po’ di chiarezza su quanto accaduto negli anni addietro.
Oggetto di controversia è stata l’applicazione della norma che ha introdotto la facoltà per i Comuni di deliberare una maggiorazione delle tariffe dell’imposta fino al cinquanta per cento (art. 11, comma 10, della Legge n. 449/1997); facoltà sospesa per il triennio 2009/2011 dall’art. 77-bis del D.L. n. 112/2008, successivamente abrogato dalla Legge n. 44/2012, con decorrenza dal 26 giugno 2012.
La stessa disposizione è stata anche oggetto di una norma interpretativa contenuta nella Legge di stabilità 2016 (art. 1, comma 739, della Legge n. 208/2015), secondo la quale la norma di cui all’art. 23, comma 7 del D.L. n. 83/2012 “si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del predetto articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012”.
Questa situazione ha causato dubbi interpretativi circa la sopravvivenza delle maggiorazioni adottate dai Comuni per gli anni successivi al 2012 (vale a dire successivamente alla data di entrata in vigore della disposizione abrogatrice di cui all’art. 23, comma 7 del D. L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) con pronunciamenti giurisprudenziali di diverso segno. Il comma 739, dell’art. 1 della L. n. 208/2015, muoveva proprio dalla necessità di ripristinare certezza circa la legittimità delle maggiorazioni anche nei casi di continuazione della loro applicazione da parte dei Comuni, per espressa deliberazione confermativa, ovvero per tacito rinnovo di anno in anno, come consentito dalla legge.
1a) La Corte Costituzionale, con la sentenza n, 15 del 10 gennaio 2018, ha preso in esame il quadro normativo dell’ICP nella sua evoluzione cronologica , chiarendo che il D.Lgs. n. 507/1993 concernente il riordino della finanza territoriale, ha previsto la determinazione della tariffa base variabile in base alla fascia di appartenenza del Comune, con la possibilità di alcune maggiorazioni la cui applicazione rientrasse nella potestà regolamentare degli Enti stessi, da esercitare entro il 31 marzo dell’anno di riferimento, con decorrenza dal 1° gennaio.
La Corte ha ritenuto che la portata della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 739 della Legge n. 208/2015 sia di carattere meramente interpretativo, cioè teso a chiarire il senso di norme precedenti, senza introdurre alcun doppio regime impositivo né creare alcuna ingiustificata disparità di trattamento tra i Comuni. Di conseguenza, venuta meno perché abrogata, la norma che consentiva di apportare maggiorazioni all’imposta, gli atti di proroga tacita avrebbero dovuto ritenersi illegittimi, poiché non poteva essere prorogata una maggiorazione non più esistente.
In sostanza, ad avviso della Corte, il comma 739 non sarebbe finalizzato a far salve le decisioni già adottate da molti Comuni fino al 2012 in materia di maggiorazione dell’Imposta sulla pubblicità, ma – più limitatamente – ad assicurare efficacia per il solo 2012 alle delibere comunali adottate fino al 26 giugno 2012, data di entrata in vigore della norma di abolizione.
Alla luce della sentenza in commento – secondo l’IFEL (Fondazione ANCI) – i Comuni possono legittimamente applicare gli aumenti deliberati prima del 26 giugno 2012, confermati tacitamente o espressamente anche per gli anni successivi.
1b) Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la risoluzione n. 2/DF del 14 maggio 2018, ha chiarito che devono considerarsi illegittime le delibere comunali approvative o confermative determinanti aumenti dell’imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni emesse in data successiva al 26 giugno 2012.
Ne consegue che per i versamenti illegittimi possono essere presentate apposite istanze di rimborso da indirizzare al Comune entro il termine perentorio di cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione.
Il 26 giugno 2012 è la data che segna lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo regime. Conseguentemente, una delibera esplicita approvativa o confermativa delle maggiorazioni in questione, adottata entro il 26 giugno 2012, legittima la richiesta di pagamento delle stesse da parte dell’ente locale; diversamente, una delibera approvativa o confermativa emessa in data successiva a quella predetta non può che ritenersi illegittima, essendo venuta meno – a seguito dell’intervento abrogativo disposto dall’art. 23, comma 7 del D. L. n. 83 del 2012 – la norma di cui all’art. 11, comma 10 della legge n. 449 del 1997, attributiva del potere di disporre gli aumenti tariffari.
Da quanto appena illustrato – conclude la risoluzione ministeriale – “è evidente che a partire dall’anno di imposta 2013 i comuni non erano più legittimati a introdurre o confermare, anche tacitamente, le maggiorazioni in questione”.
2) Sulle novità introdotte in materia di imposta comunale sulla pubblicità e di diritti sulle pubbliche affissioni dall’art. 1, comma 919 della legge di bilancio 2019 sono arrivati i primi chiarimenti dal Ministero dell’economia e delle finanze. In data 8 febbraio 2019 il Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle finanze ha pubblicato le risposte che lo stesso ha fornito in occasione di Telefisco 2019, in materia di tributi locali (IMU, Imposta comunale sulla pubblicità e Diritti sulle pubbliche affissioni e TARI).
In questa sede soffermiamo la nostra attenzione sull’applicazione dell’aumento dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni introdotto dalla legge di Bilancio 2019.
L’aumento disposto dal citato art. 1, comma 919, della legge di bilancio 2019 può essere deliberato dai Comuni per le tariffe dell’Imposta comunale sulla pubblicità (ICP) e per i Diritti sulle pubbliche affissioni (DPA). Il Dipartimento ha così dissipato i dubbi sulla possibilità che gli enti locali deliberino l’aumento anche per i diritti sulle pubbliche affissioni.
L’aumento, ha chiarito il Dipartimento, si applica alle sole tariffe commisurate alla metratura delle superfici pubblicitarie e deve essere, invece, escluso in tutti i casi in cui non è previsto il riferimento al limite dimensionale del metro quadrato.
Pertanto, l’aumento può essere deliberato:
– per la pubblicità ordinaria (per la pubblicità effettuata mediante insegne, cartelli, locandine, targhe, ecc. – art. 12, D.Lgs. n. 507/1993);
– per la pubblicità effettuata con veicoli (art. 13, D.Lgs. n. 507/1993);
– per la pubblicità effettuata con pannelli luminosi e proiezioni (art. 14, D.Lgs. n. 503/1997). L’aumento non può, invece, essere applicato:
– per la pubblicità effettuata da aeromobili mediante scritte, striscioni, disegni fumogeni, lancio di oggetti o manifestini, ivi compresa quella eseguita su specchi d’acqua e fasce marittime limitrofi al territorio comunale, in cui l’imposta si calcola per ogni giorno o frazione, indipendentemente dai soggetti pubblicizzati (art. 15, comma 2, D.Lgs. n. 507/1993);
– per la pubblicità eseguita con palloni frenati e simili, in cui l’imposta si calcola per ogni giorno o frazione (art. 15, comma 3, D.Lgs. n. 507/1993);
– per la pubblicità effettuata mediante distribuzione, anche con veicoli, di manifestini o di altro materiale pubblicitario, oppure mediante persone circolanti con cartelli o altri mezzi pubblicitari, in cui l’imposta è dovuta per ciascuna persona impiegata nella distribuzione od effettuazione e per ogni giorno o frazione, indipendentemente dalla misura dei mezzi pubblicitari o dalla quantità di materiale distribuito (art. 15, comma 4, D.Lgs. n. 507/1993);
– per la pubblicità effettuata a mezzo di apparecchi amplificatori e simili, in cui la tariffa dell’imposta è dovuta per ciascun punto di pubblicità e per ciascun giorno o frazione (art. 15, comma 5, D.Lgs. n. 507/1993).
Per scaricare il testo del D.Lgs. n. 507/1993 clicca qui.
Per scaricare il testo della sentenza della Corte Costituzionale n. 15/2018 clicca qui.
Per scaricare il testo della risoluzione n. 2/DF/2018 clicca qui.
Per scaricare il testo delle risposte ai quesiti sui Tributi locali clicca qui.
Fonte: https://www.tuttocamere.it